Avvocato Domenico Esposito
 

 

CONTRODICHIARAZIONE VALIDA ANCHE AGLI EFFETTI DEL CANONE

La mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità.

Infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 7 della Legge 431/1988, che condizionava l'esecuzione del provvedimento di rilascio alla dimostrazione che il contratto di locazione è stato registrato.

Quindi, unico requisito di validità del contratto di locazione é che sia redatto in forma scritta: un contratto di locazione concluso in forma scritta, ma non registrato, è valido e vincolante per le parti, e può essere fatto valere in giudizio.

Se si tratta di un contratto a canone libero, (art. 2, comma 1 della legge), il locatore potrà chiedere l'applicazione del canone previsto dalla controdichiarazione. Si porrà, quindi, il problema della tardiva regolarizzazione fiscale della controdichiarazione dalla data dalla sua stipulazione, consentita dalla legge (art. 13 d.lgs 18.12.1997 n. 472), da effettuarsi sia in quando il fascicolo processuale sarà sottoposto a controllo dall'agenzia delle enrtate in sede di registrazione della sentenza di condanna al pagamento dei canoni effettivamente dovuti.

Se si tratta, invece, di un contratto a canone convenzionato, previsto dall'art. 2, comma 3, anche in questo caso l'unico canone effettivo dovrà essere considerato quello portato dalla controdichiarazione: Non essendo, però, in questi contratti il canone liberamente determinabile dalle parti, il conduttore potrà far valere la nullità della pattuizione contenuta nella controdichiarazione, (art. 13, comma 4, primo periodo della legge).

 

 

CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE III

SENTENZA 27 OTTOBRE 2003 N° 16089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE - SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Paolo Vittoria - Presidente -
Dott. Roberto Preden - Rel. Consigliere -
Dott. Bruno Durante - Consigliere -
Dott. Antonio Segreto - Consigliere -
Dott. Alberto Talevi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(…), elettivamente domiciliato in Roma via (…), presso lo studio dell'avvocato (…), difeso dall'avvocato (…), giusta delega in atti,
- ricorrente -

CONTRO

(…), elettivamente domiciliata in Roma via (…),presso lo studio dell'avvocato (…), che la difende, giusta delega in atti;
-controricorrente-

avverso la sentenza n. 545-02 della Corte d'Appello di FIRENZE, Sezione II Civile, emessa il 20-02-02 e depositata il 20-04-02 (R.G.894-01);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10-07-03 dal Consigliere Dott. Roberto Preden;
udito l'Avvocato (…);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Renato Finocchi Ghersi che ha concluso per il rigetto dei ricorso.

FATTO

Con atto notificato il 24.3.2000 (…) intimava a (…) lo sfratto per morosità nel pagamento dei canoni della locazione di un appartamento, per i mesi da febbraio a maggio 1999 e da febbraio a marzo 2000, e delle spese condominiali relative all'anno 1999; lo citava contestualmente per la convalida davanti al Tribunale di Firenze.

L'intimato si costituiva con comparsa in cancelleria eccependo la nullità dell'intimazione per mancanza dell'avvertimento di cui all'art. 660, comma 3, c.p.c.; nel merito, assumeva di non dovere nulla per canoni e di avere diritto alla restituzione di tutte le somme versate, atteso che tra le parti era intervenuto un accordo simulatorio, in virtù del quale avevano stipulato un contratto di comodato gratuito dissimulante un contratto di locazione per il quale era prevista la corresponsione di un canone mensile di L. 1.200.000, e che tale pattuizione era affetta da nullità, ai sensi dell'art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, per difetto di registrazione; in via gradata, chiedeva che il canone fosse determinato, ai sensi dell'art. 13, comma 5, della citata legge, nella misura prevista per i contratti di cui al precedente art. 2, comma 3; in ulteriore subordine, assumeva di aver sostenuto varie spese di pertinenza della (…), concernenti riparazioni, oneri condominiali e canoni di utenze lasciati insoluti dal precedente inquilino per l'importo di L. 4.192.000, da compensare, come concordato con la predetta, con i canoni dovuti per il periodo febbraio-maggio 1999; circa le spese condominiali, eccepiva di non aver ricevuto la relativa richiesta di pagamento; in via riconvenzionale, chiedeva la condanna della Cy alla restituzione della somma di L. 14.000.000 oltre interessi.

Nella prima udienza, il convenuto eccepiva che per l'intimante era comparso, in sostituzione dell'avv. (…), mero domiciliatario, il dott. (…), senza delega scritta, con conseguente carenza di capacità processuale.

Il giudice si riservava di provvedere e, sciogliendo la riserva, disponeva il mutamento del rito, assegnando alle parti termine per il deposito di memoria integrative.

La (…) insisteva nelle domande e chiedeva il pagamento dei canoni scaduti e da scadere e delle spese condominiali, nonché della metà delle spese sostenute per la registrazione del contratto di locazione, nel frattempo eseguita.

Il (…) insisteva anch'egli nelle precedenti domande ed eccezioni e proponeva, in via subordinata, domanda di condanna della (…) al pagamento della somma di L. 4.192.000 a titolo di arricchimento senza causa in relazione alle spese sostenute in suo favore. Il tribunale, con sentenza del 6.2.2001, risolveva il contratto per inadempimento del (…), che condannava a rilasciare l'immobile, a pagare la somma di L. 20.962.000 oltre interessi ed a rimborsare le spese; rigettava la riconvenzionale.

Pronunciando sull'appello del (…), al quale aveva resistito la (…), la Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 20.4.2002, lo rigettava e condannava il (…) al pagamento delle ulteriori somme di L. 7.200.000 e di L. 765.000 a titolo di canoni ed oneri condominiali maturati successivamente alla sentenza impugnata ed al rimborso delle spese del grado.

Avverso la sentenza il (…) ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi.

Ha resistito, con controricorso, la (…).

DIRITTO

1. Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 9 del r.d.l. 27.11.1933 n. 1578, in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c., assume il ricorrente che, essendo affetta da nullità l'attività svolta, nella prima udienza del procedimento per convalida, dal dott. (…), in sostituzione dell'avv. (…), mero domiciliatario, in difetto di delega scritta, deve ritenersi che il locatore non sia comparso, con conseguente cessazione degli effetti dell'intimazione ai sensi dell'art. 662 c.p.c., preclusiva dell'accoglimento delle istanze della (…) e causa di nullità di tutti gli atti successivi ai sensi dell'art. 159 c.p.c. 1.1.

Il motivo è inammissibile.

Riferisce il ricorrente che sulla questione, sollevata nella prima udienza del procedimento per convalida, il giudice, con l'ordinanza riservata con la quale aveva disposto il mutamento del rito, aveva omesso di pronunciare. Non deduce peraltro il ricorrente di aver denunciato tale omissione con l'appello proposto avverso la sentenza con la quale è stato definito il giudizio. La questione è quindi preclusa.

2. Il secondo motivo denuncia: violazione e-o falsa applicazione dell'art. 660, comma 3, c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. Ad avviso del ricorrente l'impugnata sentenza ha erroneamente ritenuto che la nullità dell'atto di intimazione e contestuale citazione per la convalida, per essere stato omesso l'avvertimento di cui alla citata disposizione, sarebbe stata sanata dalla costituzione del conduttore e, in ogni caso, dalla concessione del termine per l'integrazione degli atti a seguito del disposto mutamento del rito.

Sostiene che nel caso in esame trova applicazione l'art. 164, comma 3, intendendosi sostituito l'avvertimento di cui all'art. 163, n. 7, c.p.c. con quello previsto dall'art. 660, comma 3, C.p.C., con la conseguenza che, dedotta dal convenuto la nullità, il giudice deve disporre la rinnovazione della citazione entro un termine perentorio, e che, in difetto di rinnovazione, deve essere dichiarata la nullità dell'intimazione. 2.1. Il motivo non è fondato.

Ai sensi dell'art. 660, comma 3, c.p.c., la citazione per la convalida, in luogo dell'invito e dell'avvertimento al convenuto previsti dall'art. 163, comma 3, n.

7 (secondo cui la citazione deve contenere l'invito al convenuto a costituirsi entro determinati termini ed a comparire nell'udienza indicata, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui all'art. 167), deve contenere, con l'invito a comparire nell'udienza indicata, l'avvertimento che se non comparisce o, comparendo, non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto ai sensi dell'art. 663.

Dovendo ricondursi la citazione per la convalida nella generale categoria degli atti di citazione, ad essa va applicata, nel caso di omissione dell'avvertimento, la disciplina in punto di nullità afferenti alla vocatio in ius dettata dall'art. 164, commi 1, 2 e 3, intendendosi sostituito, nei commi 1 e 2, il richiamo all'avvertimento previsto dall'art. 163, comma 3, n. 7, con quello richiesto dall'art. 660, comma 3.

L'art. 164 dispone, nel comma 1, che la citazione è nulla, tra l'altro, se manca l'avvertimento in questione; stabilisce, nel comma 2, che, se il convenuto non si costituisce, il giudice, rilevata la nullità della citazione ne dispone d'ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio; prevede, nel comma 3, che la costituzione del convenuto sana la nullità della citazione, restando salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al comma precedente, ma precisa che, se il convenuto, costituitosi, deduce (l'inosservanza del termine a comparire o) la mancanza dell'avvertimento (da individuare, nel caso di citazione per convalida, in quello previsto dall'art. 660, comma 3), in tal caso il giudice deve fissare una nuova udienza nel rispetto dei termini.

Erroneamente, quindi, il ricorrente ritiene che il giudice, a seguito delle deduzione della nullità per omissione dell'avvertimento da parte del convenuto costituito, avrebbe dovuto disporre la rinnovazione della citazione: tale obbligo è infatti previsto solo nel caso di mancata costituzione del convenuto e di rilievo d'ufficio della nullità della citazione (art. 164, comma 2).

Nel caso di costituzione del convenuto e di deduzione della nullità la norma impone soltanto al giudice di fissare una nuova udienza. E, nella specie, il provvedimento di mutamento del rito, con fissazione di una nuova udienza per l'integrazione con memorie degli atti introduttivi, adottato dal giudice a scioglimento della riserva di decisione sulla nullità della citazione per convalida per omissione dell'avvertimento di cui all'art. 660, comma 3, dedotta dal convenuto costituito, va considerato idoneo equipollente di quello previsto dall'art. 164, comma 3. Tanto più che, essendo ormai definitivamente preclusa la pronuncia della convalida ex art. 663 (o dell'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665) dall'avvenuta trasformazione del procedimento speciale di convalida in ordinario giudizio di cognizione, le esigenze di tutela che ispirano la prescrizione dell'avvertimento - volto ad evitare che l'intimato sia inconsapevolmente esposto al rischio della convalida per effetto della sua mancata comparizione o mancata opposizione -, erano ormai pienamente soddisfatte e nessun pregiudizio al diritto di difesa ha quindi subito il convenuto.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e-o falsa applicazione dell'art. 13 della legge n. 431 del 1998, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c. Assume il ricorrente che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto inapplicabile la suddetta disposizione nell'ipotesi, ricorrente nella specie, di contratto di comodato dissimulante contratto di locazione.

Rileva che l'art. 13 della legge n. 431 del 1998, nel comma 1, sanziona con la nullità ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, e, nel comma 2, consente al conduttore, nei casi di nullità di cui al comma 1, di ripetere le maggiori somme corrisposte con azione proponibile entro sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato. Sostiene:
- che la norma, volta a reprimere il ricorso alla simulazione relativa del contratto di locazione relativamente al prezzo, mediante predisposizione di controdichiarazione non registrata, recante l'indicazione del canone effettivo, superiore a quello risultante dal contratto registrato, risponde non già ad esigenze di tutela del conduttore, bensì ad esigenze di tutela dell'erario:
- che merita adesione la tesi, sostenuta da parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, secondo la quale la nullità della pattuizione avente ad oggetto il canone effettivo non può essere sanata, al fine di resistere alla domanda di ripetizione proposta dal convenuto, mediante la tardiva registrazione del contratto dissimulato recante la previsione del canone più elevato, poiché la tardiva registrazione non riflette un accordo successivo tra le parti, bensè è ascrivibile alla condotta unilaterale del locatore, alla quale non può attribuirsi il potere di conferire alla pattuizione quella validità che la legge le nega, anche in ragione del principio della inammissibilità della convalida del contratto nullo (art. 1423 c.c.), con la conseguenza che la controdichiarazione sul maggior canone rimane priva di effetti tra le parti, senza che la tardiva registrazione possa spiegare efficacia sanante retroattiva ovvero a decorrere dall'adempimento fiscale;
- che, la tesi contraria, secondo cui alla tardiva registrazione dell'accordo integrativo sul canone dovrebbe riconoscersi efficacia sanante della nullità, priverebbe l'erario della tutela in vista della quale la norma racchiusa nell'art. 13 della legge n. 431 del 1998 è stata concepita, atteso che, ritenendo consentito al locatore, mediante il tardivo adempimento fiscale, di sottrarsi alla domanda di ripetizione delle maggiori somme proposta dal conduttore, nessun conduttore avrebbe interesse a promuovere una azione siffatta, destinata a sicuro esito negativo, e l'ipotesi del ravvedimento, con conseguente recupero a tassazione dei maggiori introiti del locatore, non avrebbe in realtà modo di realizzarsi;
- che, diversamente da quanto affermato dalla sentenza impugnata, la disciplina dettata dall'art. 13 deve trovare applicazione anche nel caso in cui le parti, invece di porre in essere un contratto di locazione con un determinato canone, sottoponendolo a registrazione, e di prevedere un maggior canone con controdichiarazione non registrata, abbiano optato per la stipulazione di un contratto simulato a titolo gratuito (di comodato), ed in effetti voluto un contratto di locazione, essendo palese in tale ipotesi l'elusione della norma di legge e dovendosi quindi ritenere, per effetto della nullità della previsione del canone nel contratto dissimulato, che nessun corrispettivo è dovuto al comodante;
- che, in via subordinata, il sottostante rapporto di locazione, stipulato per iscritto ma non registrato, dovrebbe essere assimilato ad una locazione di fatto, mancando un valido accordo sul canone, ed il canone dovrebbe essere determinato a norma dell'art. 13, comma 5. 3.1. La complessa censura non è fondata. 3.1.1. La corte d'appello ha escluso l'applicabilità dell'art. 13 della legge n. 431 del 1998 sul rilievo che la norma, con inequivoca formulazione letterale, prevede l'ipotesi del contrasto tra due canoni di locazione, attribuendo, in tale caso, preferenza al canone risultante dal contratto registrato, mentre nella specie, una volta accertata, mediante la controdichiarazione scritta, la simulazione del contratto di comodato, ed individuato nella locazione con canone di L. 1.200.000 mensili il negozio effettivamente voluto, il canone previsto dalle parti non è duplice, ma uno soltanto.

La conclusione alla quale è pervenuta la corte d'appello, circa l'inapplicabilità nella specie dell'art. 13 citato, va tenuta ferma, con le seguenti precisazioni. 3.1.2.

Va anzitutto chiarito che, secondo la disciplina delle locazioni ad uso di abitazione dettata dalla legge n. 431 del 1998, la mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità.

Alla registrazione del contratto la legge citata ha indubbiamente attribuito un particolare rilievo a vari fini: l'art. 7 condizionava l'esecuzione del provvedimento di rilascio alla dimostrazione che il contratto di locazione è stato registrato (la norma è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 333-2001, ritenendo l'impedimento di carattere fiscale alla tutela giurisdizionale dei diritti posto da tale norma in contrasto con l'art. 24 Cost.); l'art. 8 subordina i benefici fiscali concessi al locatore ai fini dell'IRPEF in relazione ai contratti c.d. convenzionati di cui all'art. 2, comma 3, alla indicazione nella dichiarazione dei redditi degli estremi di registrazione del contratto; l'art. 11 prevede che i conduttori, per ottenere i contributi integrativi del fondo nazionale, devono dichiarare sotto la propria responsabilità che il contratto è stato registrato; l'art. 13 sanziona con la nullità ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato.

Nonostante l'indubbio risalto dato dalla legge al profilo fiscale relativo alla registrazione del contratto di locazione, la registrazione non è stata tuttavia elevata a requisito di validità del contratto: l'art. 1, comma 4, richiede quale requisito di validità del contratto di locazione solo la forma scritta e non anche la registrazione.

Un contratto di locazione concluso in forma scritta, ma non registrato, è valido e vincolante per le parti, e può essere fatto valere in giudizio.

A sicura conferma di ciò va rilevato che, come già ricordato, nell'originario impianto della legge, l'utilizzabilità in giudizio del contratto di locazione non registrato, per conseguirne la risoluzione, era desumibile dal già citato art. 7 (poi dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 333-2001), che condizionava all'adempimento dell'obbligo fiscale soltanto l'esecuzione del provvedimento di rilascio ottenuto dal locatore.

La correlazione della nullità della pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato con l'omessa registrazione del patto recante la maggiorazione non è d'altra parte desumibile dall'art. 13, commi 1 e 2. Le disposizioni, da riferire ad entrambi i tipi contrattuali di cui all'art. 2, comma 1 (c.d. contratto libero) e comma 3 (c.d. contratto convenzionato), poiché, a differenza di quanto prevede il successivo comma 4, non recano alcuna specificazione circa l'ambito di applicazione della norma, recitano rispettivamente: «È nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato» (comma 1); «Nei casi di nullità di cui al comma 1 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato» (comma 2).

Posto che, come già detto, è certamente valido il contratto scritto ma non registrato, senza che rilevi, nei rapporti tra le parti, la totale omissione dell'adempimento fiscale, non può sostenersi che l'art. 13, nei commi 1 e 2, abbia voluto sanzionare con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione alla imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quella eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata: tale interpretazione imporrebbe di dubitare della legittimità costituzionale della norma, in riferimento all'art. 3 Cost., per palese irragionevolezza.

In conclusione, secondo una interpretazione della norma costituzionalmente orientata, deve escludersi che l'art. 13, comma 1, sanzioni con la nullità la pattuizione ivi prevista in conseguenza della mancata registrazione dell'accordo ulteriore avente ad oggetto un canone più elevato, e conceda al conduttore, in tale ipotesi, nel comma 2, l'azione di ripetizione.

Occorre ricercare altrove le ragioni della tutela in tal senso apprestata a favore del conduttore.

Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, la norma racchiusa nell'art. 13, comma 1, farebbe riferimento all'ipotesi, assai diffusa nella pratica, della simulazione parziale del contratto di locazione relativa alla misura del corrispettivo.

Ipotesi in cui, in sede di stipulazione del contratto, tra le parti interviene un accordo simulatorio, racchiuso in una controdichiarazione, nella quale le parti indicano il canone effettivamente dovuto per il godimento dell'immobile, di importo superiore a quello risultante dal contratto di locazione tra loro concluso (ovvero, con più raffinata tecnica elusiva, concludono simulatamente un contratto di godimento a titolo gratuito dissimulante una locazione con corrispettivo, come nella specie è avvenuto).

Ma l'art. 13, comma 1, non descrive una situazione siffatta. La norma ha riguardo ad una pattuizione volta a determinare un canone diverso, e superiore, rispetto ad un altro canone, che individua in quello risultante dal contratto scritto e registrato. Ora, nel caso della simulazione relativa al canone (anche nella forma più raffinata sopra indicata), non si configura un contrasto tra due diversi canoni (ovvero tra nessun canone ed un canone pieno), perché, una volta provata ed accertata, mediante la controdichiarazione scritta, la simulazione, il canone è soltanto quello effettivamente voluto dalle parti. Il conflitto tra queste va quindi composto secondo i principi propri dell'istituto della simulazione.

Nel caso del contratto di cui all'art. 2, comma 1, c.d. contratto libero, provata la simulazione, il locatore potrà chiedere l'applicazione del canone previsto dalla controdichiarazione, che è valida, poiché nei contratti in questione le parti possono liberamente determinare l'importo del corrispettivo.

Si porrà, ovviamente, un problema di tardiva regolarizzazione fiscale della controdichiarazione a far data dalla sua stipulazione, regolarizzazione espressamente consentita dalla legislazione di settore (art. 13 d.lgs 18.12.1997 n. 472), ed a tanto dovrà provvedere il locatore, in previsione del controllo dell'ufficio del registro in sede di sottoposizione a registrazione della sentenza di condanna al pagamento dei canoni effettivamente dovuti.

Nel caso in cui la simulazione relativa al canone sia stata posta in essere nei riguardi di un contratto del tipo previsto dall'art. 2, comma 3, c.d. contratto convenzionato, ancora una volta l'unico canone effettivo dovrà essere considerato quello portato dalla controdichiarazione, ma, non essendo in tali contratti il canone liberamente determinabile dalle parti, il conduttore potrà far valere la nullità della pattuizione racchiusa nella controdichiarazione, qualora preveda un canone superiore a quello massimo definito dagli accordi, ai sensi dell'art. 13, comma 4, primo periodo, che espressamente si riferisce a tali contratti, istituendo, in raccordo con l'art. 2, comma 3, un regime di vincolo quanto al canone.

Il contrasto tra canoni, al di fuori dell'ipotesi della simulazione relativa, può invece verificarsi nel caso in cui, nel corso di svolgimento del rapporto, sia pattuito un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario. Ed è in relazione a tale ipotesi, di un patto successivo di maggiorazione del canone originariamente pattuito, che l'art. 13, comma 1, senza distinguere (a differenza di quanto prevede il successivo comma 4) tra i due tipi contrattuali di cui all'art. 2, sanziona la nullità, ponendo il principio della invariabilità del canone fissato nel contratto originariamente stipulato per tutto il tempo della durata del rapporto stabilita dalla legge (durata anch'essa presidiata dalla nullità per entrambi i menzionati tipi contrattuali, poiché neppure il comma 3 pone distinzioni al riguardo).

Con la disposizione in esame, il legislatore ha ritenuto meritevole di tutela l'esigenza del conduttore ad usufruire del godimento dell'immobile, per tutta la durata del rapporto (della potenziale durata di anni otto, per i c.d. contratti liberi, e di anni cinque, per i c.d. contratti convenzionati, entrambe presidiate dalla sanzione di nullità di cui all'art. 13, comma 3), a condizioni economiche stabili ed immutabili.

La previsione di invariabilità del canone contrattualmente stabilito risulta particolarmente significativa per i contratti di cui all'art. 2, comma l. Nel sistema della legge n. 431 del 1998, che ha superato, per i contratti in questione, il regime dell'equo canone per le locazioni abitative (introdotto dalla legge n. 392 del 1978 e reso vincolante dall'art. 79 della detta legge mediante la sanzione della nullità nel caso di canone stabilito dalle parti in misura superiore a quella derivante dall'applicazione della legge), la iniziale determinazione del canone di locazione nel momento in cui il contratto c.d. libero è stipulato, è lasciata alla libera contrattazione senza limiti massimi di importo. Ma il legislatore, a tutela del conduttore, quale parte economicamente più debole, ha escluso che la libertà di contrattazione permanesse nel corso di svolgimento del rapporto, ed a tal fine ha dettato la regola racchiusa nell'art. 13, comma 1, in virtù del quale, una volta fissato il canone contrattuale (con contratto scritto, come impone, a pena di nullità, l'art. 1, comma 4, della medesima legge, e registrato, in conformità alla regola della generale sottoposizione a registrazione di tutti i contratti di locazione indipendentemente dall'ammontare del canone, secondo l'art. 21 della legge 27.12.1997 n. 449), è vietato, a pena di nullità, concludere accordi aventi ad oggetto la maggiorazione del canone, che deve quindi restare immutabile (a parte la previsione di forme di aggiornamento, come quelle correlate ai dati ISTAT, senza limiti percentuali) per tutta la durata del rapporto. Regola non incompatibile con un regime di sostanziale liberalizzazione del canone di locazione per il tipo contrattuale di cui all'art. 2, comma 1, in questione: sulla vigenza di un analogo sistema, nell'ambito della legge n. 392 del 1978, per le locazioni ad uso diverso dall'abitazione, caratterizzate anch'esse da libertà iniziale di pattuizione del canone, ma, in ragione della limitazione della sua variazione nel corso del rapporto al solo aggiornamento ex art. 32, da divieto di patti di aumento successivi, sanzionato con la nullità ex art. 79, si era infatti già espressa questa S.C. con la sentenza 10286-01. E la previsione di immutabilità del canone, a pena di nullità, si coordina, rafforzandola, con quella dell'art. 2, comma 1, secondo periodo, che contempla la modifica delle condizioni contrattuali, tra le quali deve ritenersi compresa la determinazione dell'importo del corrispettivo, solo in relazione ad un rinnovo da concordare alla seconda scadenza del contratto.
Ed è ancora opportuno notare che alla specifica finalità perseguita dall'art. 13, comma 1, in relazione ai c.d. contratti liberi, di operare quale limite della persistente libertà di contrattazione del canone, non può ritenersi indirizzata la norma dettata dall'art. 13, comma 4, secondo periodo, secondo cui «Per i contratti stipulati in base al comma 1 dell'art. 2, sono nulli, ove in contrasto con le disposizioni della presente legge, qualsiasi obbligo del conduttore nonché qualsiasi clausola o altro vantaggio economico o normativo diretti ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito». La disposizione, alquanto atecnicamente formulata, appare infatti rivolta a sanzionare, in sede di prima stipulazione del contratto, la previsione di obblighi per il conduttore, o l'inserimento di clausole vantaggiose per il locatore, il cui effetto sia quello di determinare un incremento dell'onere economico gravante sul conduttore, non imputabile al canone contrattualmente stabilito, al quale è commisurata l'imposta di registro, sempreché obblighi, clausole e vantaggi siano contrastanti con le disposizioni della legge n. 431 del 1998.

Il principio dell'invariabilità (a parte l'eventuale aggiornamento ISTAT) del canone stabilito nella convenzione originariamente stipulata per tutta la durata legalmente imposta del rapporto, ha modo di operare, anche se entro i limiti segnati dal peculiare regime vigente per essi, altresì per i contratti di cui all'art. 2, comma 3, c.d. contratti a canone convenzionato (destinati a durare, potenzialmente, per cinque anni). Per tali contratti vige infatti un regime di vincolo quanto alla misura del canone (analogo a quello dell'equo canone imposto dalla legge n. 392 del 1978 per le locazioni ad uso di abitazione, e presidiato dalla sanzione di nullità di cui all'art. 79), che si risolve nel divieto per le parti di discostarsi, nel determinare il canone, da un parametro esterno al contratto, individuato nel canone massimo definito dagli accordi. In tal senso, coordinandosi con l'art. 2, comma 3, dispone l'art. 13, comma 4, primo periodo, secondo cui "Per i contratti di cui al comma 3 dell'art. 2 è nulla ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito, per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie, dagli accordi definiti in sede locale".

La disposizione, fissando il parametro esterno al quale si correla la validità della determinazione del canone contrattualmente dovuto (il superamento del quale apre al conduttore la via dell'azione di restituzione delle somme indebitamente versate, proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile: art. 13, comma 5, primo periodo), delimita l'area di applicazione del comma 1, con riferimento alla residua libertà lasciata ai contraenti di concordare il canone in una misura non eccedente il detto importo massimo, compresa nella fascia di oscillazione, tra un valore minimo ed uno massimo, dei canoni previsti dagli accordi. Una volta fissato dalle parti, nel contratto c. d. convenzionato originariamente stipulato, un importo del canone non eccedente quello massimo definito dagli accordi locali, tale determinazione è destinata a restare immutabile, non essendo consentita, in ragione del divieto posto dall'art. 13, comma 1 ( la cui violazione è sanzionata con la nullità ed apre al conduttore la via dell'azione di ripetizione delle somme indebitamente versate, proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile: art. 13, comma 2), una revisione in aumento, pur se contenuta in misura ancora inferiore all'importo massimo definito dagli accordi. Ed anche per i contratti in questione la regola della immutabilità del canone contrattualmente determinato (in misura inferiore a quella massima definita dagli accordi locali), ben si coordina con la previsione dell'art. 2, comma 5, terzo periodo, che riserva all'eventuale rinnovo alla scadenza del periodo di proroga biennale la stipulazione di un nuovo contratto c.d. convenzionato a nuove condizioni, ivi compresa la determinazione del nuovo canone, nei limiti fissati dagli accordi. 4. Il quarto motivo denuncia: violazione e-o falsa applicazione degli artt. 1193, 1195, 1197, 1199, 1241, 1242, 1243, 1249 e 1252 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.

Sostiene il ricorrente che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto non compensabile il credito di (…) 4.192.000 del (…) per il rimborso delle spese sostenute per il pagamento di pregresse morosità relative alle utenze dell'appartamento e per l'esecuzione di riparazioni urgenti con i canoni del periodo febbraio-maggio 1999, pari a L. 4.800.000, poiché non ha considerato che la locatrice aveva prestato acquiescenza alle imputazioni al debito per canoni delle spese effettuate dal conduttore ed alla predetta analiticamente comunicate con nota del 13.5.1999, accettando l'assegno inviatole di L. 608.000 corrispondente alla differenza, ed aveva confermato il suo assenso accettando, con lettera del 25.11.1999, la successiva compensazione tra ulteriori spese sostenute dal conduttore (ad eccezione di quella di L. 800.000 per danni ad un videoregistratore) e canoni relativi al periodo da settembre 1999 al gennaio 2000.

Soggiunge che, concernendo le spese alle quali si riferivano i crediti del conduttore il pagamento di utenze lasciate insolute dal precedente inquilino ed oneri condominiali gravanti sul predetto, e non già miglioramenti, erroneamente la corte d'appello ne ha ritenuto escluso il diritto al rimborso ai sensi dell'art. 1592 c.c., e che del pari erroneamente ha ritenuto non rimborsabili le spese sostenute per riparazioni urgenti, per difetto di avviso, laddove erano state sempre preventivamente comunicate.

Con il settimo motivo, denunciando violazione e-o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 230, 232, 244 e 245 c.p.c., 2721, 2722 e 2723 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., il ricorrente sostiene che erroneamente la corte d'appello ha rigettato le richieste di interrogatorio formale e di prova per testi aventi ad oggetto il previo accordo con la locatrice circa l'effettuazione delle spese poi opposte in compensazione ed il consenso prestato a quest'ultima.

4. 1. I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché tra loro connessi, sono infondati.
Ha ritenuto la corte d'appello che il conduttore non poteva opporre in compensazione al credito della locatrice per canoni (da febbraio a maggio 1999, per complessive L. 4.800.000), crediti per riparazioni eseguite all'immobile e per il pagamento di canoni di utenze relative all'appartamento e di oneri condominiali lasciati insoluti dal precedente inquilino, ed ha motivato tale decisione negativa considerando: che per contratto il conduttore non poteva effettuare spese per interventi sull'immobile, se non previa autorizzazione scritta della locatrice; che il cennato divieto era stato ribadito nella lettera del difensore della locatrice del 25.11.1999; che dell'autorizzazione ad eseguire le spese in questione il conduttore non aveva dato prova; che era comunque carente la prova documentale dell'effettuazione delle spese; che il conduttore non aveva diritto ad indennità per i miglioramenti, non avendo provato il consenso del locatore (art. 1592 c.c.), nè diritto a rimborso per le riparazioni urgenti, in difetto di tempestivo avviso (art. 1577 c.c.), e che ugualmente nessun diritto derivava dalle addizioni, che il conduttore ha solo diritto di ritirare al momento della cessazione del rapporto (art. 1593 c.c.). ora, di siffatto coacervo di argomentazioni, risulta sicuramente errata l'ultima, atteso che, concernendo in parte il preteso rimborso, come è incontroverso, pagamenti di utenze ed oneri condominiali, è palesemente non pertinente il richiamo alla disciplina dettata dall'art. 1592 c.c. per i miglioramenti, e dall'art. 1593 c.c. per le addizioni, mentre, circa la quota riferita a riparazioni (asseritamene) urgenti, il mancato previo avviso, secondo una risalente giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, non esclude il diritto al rimborso (sent. n. 1436-48).
Resistono invece alla censura le argomentazioni concernenti il difetto di prova non solo dell'autorizzazione ad effettuare le spese, ma anche alla concreta effettuazione delle medesime. Si tratta infatti di apprezzamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, ai quali il ricorrente contrappone una sua diversa valutazione degli elementi acquisiti al processo, sollecitando inammissibilmente questa S.C. ad un riesame del merito.
Nè sussiste contraddizione tra la ritenuta carenza di prova e la mancata ammissione della prova per interrogatorio formale e per testi, attesa la valutazione di inammissibilità compiuta al riguardo dal primo giudice e confermata dalla corte d'appello. La corte ha infatti ritenuto generica la prova circa la asserita prestazione del consenso, e superfluo l'interrogatorio formale, avuto riguardo agli elementi probatori acquisiti, rappresentati dai documenti prodotti, ed in particolare dal contratto e dalla corrispondenza intercorsa tra le parti. Si tratta di incensurabili apprezzamenti del giudice di merito.

5. Con il quinto motivo, denunciando violazione e-o falsa applicazione degli artt. 1592, 1593, 2041 e 2042 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., il ricorrente addebita alla corte d'appello di aver erroneamente ritenuto inammissibile la domanda subordinata di arricchimento senza causa spiegata in relazione alle spese anticipate dal conduttore per conto della locatrice sul rilievo che, in materia di locazione, il conduttore che abbia eseguito interventi sull'immobile trova tutela nelle specifiche azioni previste dalla legge per essere indennizzato ove ne ricorrano le condizioni. Sostiene che, non potendosi ricondurre le spese sostenute dal conduttore nell'ambito della disciplina dettata per i miglioramenti (art. 1592 c.c.) e le addizioni (art. 1593 c.c.), nessuna azione era esperibile. 5.1. Il motivo non è fondato.
La corte d'appello non si è limitata a rilevare l'inammissibilità della domanda di arricchimento senza causa, o di ripetizione, ma ne ha altresì dichiarata l'infondatezza, come emerge sia dalla già rilevata mancata dimostrazione dell'effettuazione di spese in favore della locatrice, sia per mancanza di un arricchimento, desunta, con incensurabile apprezzamento di merito, dallo stato di degrado nel quale si trovava l'immobile al momento del rilascio da parte del conduttore, risultante dal verbale di riconsegna. E tale statuizione di merito, congruamente motivata, si sottrae a censura. 6. Il sesto motivo reca denuncia di violazione degli artt. 657, 658, 660 e 667 c.p.c. e dell'art. 9 della legge n. 392 del 1978, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. Assume il ricorrente, nel censurare la condanna al pagamento degli oneri accessori, che la relativa domanda era stata inammissibilmente proposta solo con la memoria integrativa a seguito del mutamento del rito, e che, comunque, non sussisteva la mora, non avendo la locatrice fornito l'indicazione specifica delle spese e la documentazione giustificativa.

6.1. Il motivo non è fondato.
La corte d'appello ha ritenuto che la complessiva valutazione dell'atto di intimazione (nel quale era dedotta e quantificata anche la morosità nel pagamento degli oneri condominiali) consentiva di ritenere originariamente proposta, oltre alla domanda di pagamento dei canoni, anche la domanda di condanna al pagamento degli oneri accessori. Si verte in tema di interpretazione dell'atto introduttivo del giudizio, che, in quanto sorretta da congrua motivazione, non è sindacabile in questa sede.
Per quanto concerne la prova dell'esistenza e della entità delle spese condominiali delle quali era richiesto il rimborso, la corte d'appello ha ritenuto sufficienti le richieste scritte provenienti dell'amministratore del condominio. Di tali richieste la ricorrente contesta sia la spedizione che il ricevimento, ma si tratta di contestazioni che sollecitano, inammissibilmente, un riesame di fatto.

7. L'ottavo motivo reca denuncia di violazione e-o falsa applicazione degli artt. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, 13 del d. P. R. n. 131 del 1986, e 1423 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c. Assume il ricorrente che erroneamente la corte d'appello ha posto a carico del conduttore la metà delle spese della registrazione del contratto di locazione, eseguita dalla locatrice in corso di causa. Sostiene, ribadendo le considerazioni svolte nel terzo motivo, che nel caso, ricorrente nella specie, in cui il conduttore, con separata scrittura, si sia impegnato a corrispondere un canone superiore a quello risultante dal contratto registrato, l'accordo dissimulato resta comunque privo di effetto, anche se il locatore provveda alla tardiva regolarizzazione fiscale della controdichiarazione, allorché si sia manifestata l'esigenza di farla valere in giudizio contro il conduttore. 7.1. Il motivo non è fondato.

Il rigetto del motivo è conseguente a quello del connesso terzo motivo, del quale ripete in parte le argomentazioni. 8. Con il nono motivo, denunciando violazione e-o falsa applicazione degli artt. 345 c.p.c., 1591 c.c., 1-bis d.l. 30.12.1998 n. 61, convertito nella legge 21.2.1989 n. 431, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., il ricorrente assume che erroneamente la corte d'appello ha pronunciato condanna per i canoni successivi alla sentenza di primo grado a titolo di danni sofferti dopo il provvedimento, trattandosi di domanda nuova che avrebbe dovuto essere formulata con separato giudizio ed in forza del disposto dell'art. 1591 c.c.; addebita inoltre alla corte d'appello di aver escluso, in motivazione, l'applicabilità della maggiorazione del canone nella misura del 20%, e di aver poi pronunciato condanna calcolando tale maggiorazione 8.1. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

L'art. 345, comma 1, seconda parte, c.p.c., in deroga al principio, posto nella prima parte del comma, secondo cui non possono proporsi in appello domande nuove, dispone che possono domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata. Poiché i canoni di locazione costituiscono frutti civili (art. 820, comma 3, c.c.), deve ritenersi consentito, qualora in primo grado sia stato chiesto il pagamento di tali frutti civili già scaduti (sent. n. 9405-97), come nella specie era avvenuto, richiedere in appello i canoni maturati dopo la sentenza impugnata (sent. n. 6275-80).

Non sussiste la denunciata contraddizione tra motivazione e dispositivo. Nelle conclusioni, l'appellata ha chiesto il pagamento della somma di L. 7.200.000 a titolo di canoni maturati dopo la sentenza, e la ulteriore somma di 1.440.000 a titolo di maggiorazione del 20% ai sensi della legge n. 551 del 1988. La corte d'appello ha rigettato la richiesta di maggiorazione, sul rilievo che la norma invocata era stata abrogata dall'art. 14 della legge n. 431 del 1998, ed ha conseguentemente limitato la pronuncia di condanna al pagamento di L. 7.200.000, e quindi al solo importo dei canoni, senza maggiorazione. 9. In conclusione, il ricorso è rigettato. 10. La novità di alcune delle questioni trattate giustifica la compensazione della spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma il 10.7.2003